Il 14 ottobre a Udine, mentre Gaza e il Libano erano sotto bombardamenti devastanti, è andata in scena la partita di calcio Italia-Israele, ennesima operazione di “sportwashing” da parte dello stato israeliano compiuta con la complicità italiana (ricordiamo che, alle Olimpiadi di Parigi, Israele e Italia hanno sfilato sulla Senna sullo stesso barcone).
La scelta di uno stadio così periferico, in un piccolo capoluogo di provincia normalmente molto tranquillo era chiaramente finalizzato a minimizzare le proteste annunciate dalla comunità palestinese e da varie associazioni. La stampa era stata mobilitata per magnificare il fantomatico ruolo “di pace” dello sport e l’importanza degli scambi commerciali con Israele, una campagna martellante aveva cercato di terrorizzare preventivamente la popolazione paventando rischi di scontri di piazza mentre molti bottegai comunicavano che avrebbero abbassato in anticipo le saracinesche per evitare danneggiamenti.
Lo schieramento di forze dell’ordine era imponente (citiamo dal “Messaggero veneto”, il quotidiano locale): oltre mille agenti (in una città di centomila abitanti scarsi!), droni e un elicottero in volo, cecchini appostati sui tetti vicino allo stadio e agli alberghi degli atleti, reparti cinofili e antisabotaggio in azione, decine di agenti del Mossad e dei servizi segreti italiani.
Nonostante il clima di terrore, oltre tremila persone hanno sfilato per ore in corteo per le vie della città evidenziando come larghi settori della popolazione condannino il genocidio del popolo palestinese e le collusioni italiane.
In contemporanea al corteo, alla camera di commercio si parlava di affari. Nel corso del convegno ‘Start up innovazioni e tecnologie da Israele’ venivano magnificate le possibilità di interscambio commerciale presentando il partenariato in corso con la municipalità di Modi’in-Maccabim-Re’ut, rinomata come “learning city” (basata cioè sull’apprendimento continuo).
Da notare che il quartiere di Maccabim (uno dei tre centri che costituisce la municipalità) è stato costruito nel 1985 per impulso della “Maccabi World Union” nei territori occupati e di conseguenza non è riconosciuto dalla stessa UE (nel 2021 i sindaci di Bologna e Palermo avevano disdetto la loro partecipazione a un convegno in cui era presente il sindaco di questa località, peraltro un noto estremista del Likud). Questi “spiacevoli” particolari non sono stati ovviamente tenuti in nessuna considerazione. Allo stesso modo non si è fatto alcun cenno ai massacri in corso.
L’assessore regionale Bini ha invece evidenziato con soddisfazione come “nel 2023 le esportazioni dal Friuli Venezia Giulia verso Israele sono cresciute del 21,5%, superando quota 103 milioni di euro in numeri interi, a testimonianza dei crescenti legami tra i due territori e le imprese che vi operano”, lamentando però che “gli effetti del conflitto in corso” abbiano pesantemente ridimensionato i flussi turistici e commerciali (dal sito regionale). Il focus dell’iniziativa è stata la presentazione di 8 start-up israeliane particolarmente innovative “nei settori del riutilizzo dei rifiuti per creare nuovi materiali per l’industria del legno, delle innovazioni agricole, della medicina e del contrasto alle infezioni nosocomiali e della produzione di energia pulita”. Insomma l’odore del denaro è ben più forte di quello dei cadaveri.
Se i politici locali sono apparsi “coperti e allineati” agli interessi israeliani, senza manco protestare per le aggressioni all’UNIFIL, particolarmente penosa è risultata la giravolta del sindaco di Udine De Toni, a capo di una variegata coalizione (da Renzi a Rifondazione comunista): inizialmente aveva rifiutato di concedere il patrocinio alla partita a causa della “situazione” a Gaza, salvo poi rimangiarsi il tutto in extremis di fronte alle pressioni ricevute.
Il giorno dopo la stampa locale ha tirato un sospiro di sollievo. Tutto è andato bene. È vero che lo stadio era mezzo vuoto (migliaia di biglietti sono stati regalati per coprire almeno qualche buco), è vero che l’inno israeliano è stato fischiato, è vero che un tifoso neonazi ha sventolato la bandiera del III Reich, ma dopotutto la nazionale di Spalletti ha vinto! (cosa si può desiderare di più?).
Soprattutto “il modello Udine ha funzionato” ed ora si può sperare di vendere alla grande la location friulana per futuri appuntamenti internazionali (anche ad alto rischio), facendo soldi a palate con l’indotto. Che importa se si fanno soldi sulla pelle dei civili massacrati?
Di fronte a una situazione internazionale che vede, in ogni scenario, il moltiplicarsi dei conflitti imperialistici tra gli Stati occorre intensificare la mobilitazione contro ogni guerra, contro ogni tentativo di spingere i popoli l’uno contro l’altro, per la liberazione di tutte le persone oppresse.
Mauro